La felicità è il sapore di un’aranciata fresca a bacio di bottiglia, sotto un caldo sole. Sa di cinnamon roll, di una scodella di ramen caldo mangiata all’ombra di un albero in un parco di Portland a 30 gradi all’ombra, delle molliche di pane spalmate di Nutella che mangiavo come dolce a fine pasto con il mio Padrino, dell’uovo fritto e delle patatine che mi preparava mia Nonna.
La felicità ha l’ebbrezza di correre a piedi nudi per il parco di Ashland verso due altalene vuote e iniziare a dondolarsi, sino a toccare il cielo con le punte dei piedi, ridendo, sentendosi invincibili, onnipotenti ed immortali.
Felicità è il senso di immensità che ti avvolge quando percorri la 101 che dal Messico ti porta a Washington, risalendo la California e l’Oregon: cambiano i paesaggi e tu con loro, ti fai deserto e foresta, ti fai asfalto e cielo, ti fai mondo.
Felicità ha l’odore delle fragole mature, della salsedine, dell’umido della terra dopo la pioggia, di un neonato dopo il bagno, dell’aroma della cannella che si sprigiona da una torta aprendo il forno.
Felicità è lanciarsi con una fune nel fiume vincendo la paura e chiedendo al tuo cuore di essere impavido.
È guardare le stelle da un accampamento nella foresta di Redwood o dalle Madonie o sulla cima del Mungibello: l’immenso che ti sovrasta e tu non puoi impedirti e negarti la commozione del pianto perché la Natura è sempre benevola con i suoi figli.
È come affondare le mani in sacchi di spezie e sesamo e stringere i pugni.
La felicità è correre incontro a qualcosa. Per un aeroporto verso il tuo gate che chiama l’imbarco. È quel tremore allo stomaco quando l’aereo stacca il carrello da terra e tu hai finalmente le ali. È il suono delle ciabatte che calpesta l’asfalto mentre corri a prendere un traghetto che da Circular Quay ti porterà a Bondi beach.
È salire su un treno che ti farà attraversare l’Europa fino al suo capo estremo, con il tuo zaino in spalla e lungo il viaggio getterai via oltre ai vestiti vecchi anche i dolori ed i rimpianti e riempirai il tuo zaino di sorrisi di volti ignoti, di pranzi arrangiati condivisi con sconosciuti.
La felicità viaggia come il vento delle coste dell’Oregon che ti scompiglia i pensieri con i capelli e porta la tua risata al Giappone che ti sta di fronte ma tu non lo vedi. Ma è lì, come le persone che ami, ti stanno di fronte, lontano, ma ci sono: anche se non le vedi. Sono le terre da cui ci allontaniamo ma da cui sempre torniamo attraverso una corrente chiamata amore.
La felicità è la pioggia che arriva dopo mesi di siccità ed esci fuori a correre a braccia aperte.
Felicità è saltare dentro le pozzanghere e vederci riflessa la bellezza del mondo.
La felicità è grande come sua maestà, la sequoia Generale Sherman.
La felicità si scioglie lieve come un fiocco di neve.
Sta sul palmo di una mano come una conca d’acqua e scivola via se chiudiamo il pugno.
Felicità è quella risata che solo un amico vero ti regala anche in un giorno di lutto. Perché tu continui a vivere e devi farlo in onore di chi ci ha salutati.
La felicità è l’amore di chi ti domanda: hai mangiato? Ancor prima di chiederti come stai.
La felicità è un tempo che spesso parla al passato quando è solo dopo che ci rendiamo conto di esser stati felici.
La felicità è un interludio tra una catastrofe e una disgrazia: è la colonna sonora del viaggio chiamato vita.
Ornella SugarRay Lodin
Storico della Filosofia
Il mio nome ormai contiene quello di SugarRay, il pugile che aveva uno stile dolce come lo zucchero ma che non gli impedì di divenire campione del mondo nella sua categoria, io voglio fare lo stesso con la mia scrittura.
Il Testo è stato scritto come Introduzione a “Sono Bambina, Non Una Sposa. I Sogni Son desideri” di Giorgia Butera.